É l’ 11 Ottobre 1970 e Verona e Juventus si sfidano in questa gara valevole per la Quarta Giornata del Girone di Andata del Campionato di Calcio di Serie A 1970-71. Il tutto si svolge allo Stadio ‘Marcantonio Bentegodi‘ di Verona.
Nel campionato che consacra l’ Inter come Campione d’Italia, i bianconeri si imbattano in una tragedia che sconvolge la loro stagione agonistica. Infatti il giovane allenatore Armando Picchi scompare dopo una breve malattia.
La dirigenza juventina si affiderá così all’esperto Čestmír Vycpálek, ma concluderá la stagione in un anonimo quarto posto finale.
Per quanto riguarda il Verona si salva da quella che sarebbe stata una dolorosa retrocessione per il rotto della cuffia.
Buona Visione!
Verona 0 – Juventus 0 avara.
Le occasioni perdute si inceneriscono nella memoria, e rimane soprattutto l’impressióne di un gioco che non riesce a trovare sbocchi, non matura in se stesso, non sboccia con i frutti necessari e previsti. Ad un certo momento s’è pensato che le squadre non sarebbero riuscite a mettere ti segno un gol neppure in duecento minuti, malgrado i guizzi di Anastasi, i tentativi di Bettega (che ha la tempra dell’uomo-gol ma oggi è apparso un po’ in ombra) e le furie agonistiche del sempiterno Furino. Il Verona è quadrato, ma poca cosa: un quadratino di soldatini di piombo, più che di guerrieri antichi. L’assenza di Meschino ha reso opaco e prevedibile e lento il suo gioco, mai vivo malgrado la laboriosità dei centrocampisti. E’ una mediocre squadra di centro-classifica che tuttavia, in casa, obbligherà chiunque a produrre un buon volume di gioco prima di cedere le armi. E’ necessario però che si calmino in panchina i suoi uomini guida, dal presidente della società all’allenatore. Sono troppo agitati, scattano come diavoli in una commedia rusticana che serve soltanto a provocare il pubblico. In serie A, certi bollenti ricordi paesani del tipo Pugliese, attore-allenatore del Foggia quando questa squadra militava in divisioni minori,’ non dovrebbero essere tollerati. Fanno da trampolino ai tifosi meno corretti, subito pronti a gridare all’attacco come i ragazzini al cinema, quando invocano i « nostri ».
L’arbitro Bernardis, che molta critica, negli ultimi anni, ha praticamente giudicato con una serie di « 4 » nelle pagelle che riguardavano i direttori di gara, oggi merita si e no un « 5 », ha ignorato troppe volte la regola del vantaggio, a danno di tutte e due le squadre, e se non ha innervosito i giocatori è perché la partita non ha mai raggiunto vertici di passione agonistica molto accesi. Nell’equilibrio di questo campionato, con un Verena che impone pareggi sia a fiorentini sia a juventini, il ruolo della squadra bianconera è ancora da stabilire: a zone di determinata e visibile freschezza corrispondono spazi in campo e uomini che «girano» con un motore troppo diverso da quello dei compagni. Se a Furino possiamo attribuire le parole di Giacomo Leopardi nel suo canto al giocatore di pallone, e cioè la « sudata virtude », che dire di Capello? Sempre aggrappandoci a Leopardi, lo si può definire un « garzon bennato », « rigoglioso nell’età novella », certo, però a ritmo alternato, con illuminazioni istintive bellissime, con un gioco veloce mentre invia palla al piede (segno sicuro di-classe)- ma anche con improvvisi assenteismi dalle zone nevralgiche. Gli interrogativi che riguardano la squadra bianconera sono ancora tutti in piedi e tutti da risolvere. Incontri di maggior importanza faranno la tara ad ambizioni e progetti.
Non resta che aspettare il Milan a Torino dopo la parentesi azzurra di Berna. Chiudiamo il primo, breve tratto del campionato, oggi. Il criticò non può aggiungere altro: in 270 minuti di gioco (Torino-Foggia, Inter-Roma, Verona-Juventus) non ha visto un solo gol. Il pranzo sarà lungo, ma la sete non fa che aumentare.
Un Verona senza « cervello « (e cicè Monchino) non ha faticato granché per pareggiare con una Juventus priva (sul campo, non sulla carta) di Haller. La gara del tedesco è l’unica chiave per interpretare una partita che ha avuto qualche momento agonistico acceso, alcuni sprazzi di bel gioco, e varie involuzioni di manovre troppo lente, troppo elaborate e stantie. Questa Juventus è giovane, ma con difetti antichi, gli eterni difetti del calcio italiano, raramente ispirato nelle azioni d’attacco, con pochi ucmini-gol in grado di sfruttare le magre occasioni fatte maturare dal gioco di centrocampo. In difesa, pur con qualche scossone, i bianconeri non hanno dovuto temere molto. Ha pensato il Verona a sbagliare da sé le rare palle-gol create in novanta minuti. I gialloblù di Lucchi, impostati su Mascetti e Ferrari, con uomini lenti in avanti, come Mujesan, o fuori forma come Clerici, non hanno certo dato grattacapi a Morini, Spinosi, Salvadore. E tuttavia, anche costoro hanno dovuto praticare qualche fallaccio per sbrogliare situazioni di pericolo.
Abbiamo volutamente omesso per un attimo il nome di Furino, il migliore in campo. Non solo si è battuto, da par suo in area, ma ha inventato ed eseguito tremende proiezioni in avanti, facendo saltare più volte le cerniere difensive stabilite dagli uomini di Lucchi. In tre occasioni, Orazi, numero tredici veronese, sostituto dal 63′ di D’Amato (che Furino nemmeno aveva visto), ha dovuto strattonare e abbattere il numero tre juventino, lanciato come un furetto ai vertici dell’area avversaria. Cosa avrebbe ottenuto la Juventus a Verona se Haller avesse speso in campo la metà della buona voglia di Furino? La risposta è semplice: avrebbe ottenuto i due punti. Haller non ha giocato, ha scambiato qualche raro pallone Con Cuccureddu, quando costui avanzava il tedesco si guardava bene dallo scattare per suggerirgli il passaggio, e tantomeno lo proteggeva alle spalle. Cosicché ben tre volte, durante la ripresa, il controllore di Haller, Sirena, s’è potuto spingere bellamente in area juventina come un attaccante in più. L’appannatissimo Helmut, mentre la Juventus cercava di stringere i tempi e creava qualche occasione da gol nella seconda parte della gara, è rimasto a passeggiare e rifiatare nella zona d’ombra davanti alle tribune, certamente ostacolato dal solicello ottobrino che riscaldava il campo veronese.
Giovanni Arpino
tratto da: La Stampa 12 Ottobre 1970