É il 14 Febbraio 1988 e Juventus e Verona si sfidano nella quarta Giornata del Girone di Ritorno del Campionato Italiano di Calcio di Serie A 1987-88 allo Stadio ‘Comunale’ di Torino.
É ancora una Juventus in pieno alto mare in questa stagione. Dopo l’abbandono di Michel Platini, la squadra (affidata a Rino Marchesi) non riesce a trovare la solita quadratura. Alla fine di questo campionato i bianconeri si piazzeranno in sesta posizione e dopo un emozionante spareggio contro il Torino acciufferanno il piazzamento UEFA per i capelli.Dall’altra parte c’é un Verona che guidato in panchina da Osvaldo Bagnoli é ormai lontano anni luce da quello che vinse il tricolore tre stagione addietro. Alla fine gli scaligeri finiranno solo in decima posizione.
Buona Visione!
Campionato di Serie A 1987-1988 – 4 ritorno
Torino – Stadio Comunale
Domenica 14 febbraio 1988 ore 15.00
JUVENTUS-VERONA 0-0
JUVENTUS: Tacconi, Bruno, Cabrini, Bonini (Vignola 82), Brio, Tricella, Mauro (Alessio 67), Magrin, Rush, De Agostini, Laudrup
Allenatore : Rino Marchesi
VERONA: Giuliani, Bonetti D., Volpecina, Berthold, Fontolan, Soldà (Pioli 89), Volpati, Galia, Pacione, Di Gennaro, Elkjaer
Allenatore : Osvaldo Bagnoli
ARBITRO: Magni Pier Luigi
Ian Rush
Il gallese, che dovrebbe rinverdire le gesta del suo conterraneo Charles, arriva alla Juventus nel suo momento peggiore, con una squadra rinnovata e, soprattutto, segnata profondamente dal ritiro di Platini. Non c’è più nemmeno Trapattoni, al suo posto siede Marchesi e Ian fatica tantissimo a inserirsi in schemi molto diversi da quelli di Liverpool. Marchesi chiede alla squadra di difendersi, prima di tutto, obbligando Laudrup a fare il terzino. Il resto della squadra non è un granché, gli eroi di mille battaglie sono stanchi e i nuovi non sono all’altezza dei sostituti.
Rush non riesce ad adattarsi all’Italia, sono molti i ritardi accumulati nel presentarsi agli allenamenti, (gli costeranno alcuni milioni di multa) e accusa pure continui malanni che ne rallentano l’inserimento, come l’infortunio accorsogli poco prima dell’inizio del campionato e che lo tiene lontano dal campo per circa un mese. Discontinuo, quando è in giornata è irresistibile: se ne accorge il Pescara di Leo Junior alla terza giornata, affondato da 2 goal del gallese (mentre in Coppa Italia gliene rifila cinque in due partite!) e pure l’Avellino, liquidato con tre reti, una delle quali firmata dal centravanti venuto da Liverpool.
«Sono arrivato in Italia nel momento in cui si ritirava Platini, e mi mandano via adesso che arriva Zavarov. Peccato, perché questa Juventus mi piace davvero, è diversa rispetto a quella dell’anno passato, fatta di uomini più esperti, anche se da scoprire, comunque non provenienti da squadre abituate a lottare per non retrocedere. Lo stesso Marocchi, che arriva dalla Serie B, viene da una squadra che ha sempre giocato all’attacco. È cambiato l’allenatore, se ne è andato Marchesi, con il quale non avevo trovato un’immediata comunicabilità: anzi, non ho neanche mai capito a che ora fissava, giorno per giorno, gli allenamenti. È stata un’impresa, per me, anche questa. Torno al Liverpool, il massimo, anche perché la mia ex squadra si è rinforzata ulteriormente da quando me ne sono andato. E stanno rinforzando anche i botteghini: da quando hanno annunciato il mio rientro stanno esaurendo gli abbonamenti, c’è la coda in strada, insomma, all’Anfield non aspettano altro che il sottoscritto, Alla Juventus invece la situazione mi sembrava diversa. In Italia, la gente ti parla come se fosse tua amica, poi se ne vanno e ti piantano un coltello nella schiena. Quando la Juventus giocava fuori casa, era ovvio che bastava il pareggio. Vedevo pochissimi palloni e, in queste condizioni, era difficile fare molto. Stranamente, per una squadra italiana, la Juventus giocava con palloni lunghi e alti nella speranza che io, in quanto britannico, amassi i contrasti aerei. Non capisco, il colpo di testa non è mai stato il mio forte. Per me sarebbe stato più semplice giocare con il pallone a terra. Mi sono rivolto ai vecchi amici per chiedere aiuto, ne avevo bisogno, cominciavo a essere veramente preoccupato. Souness mi ha impedito di impazzire, mi ha convinto che sono ancora capace di giocare. Mi ha parlato della mentalità italiana. Tutto è esagerato: la vittoria, la sconfitta, i goal. Si sono scritte molte bugie sul mio conto, ma i problemi sono stati quasi esclusivamente di natura tecnica. Mi piaceva la cucina italiana, scoprire un altro stile di vita. Ho anche preso lezioni di italiano. Ma la prima cosa da tenere presente è che in Italia non ci sono grandi attori o stelle del rock. La voce di Robert Redford è doppiata, e quindi come è possibile identificarsi con lui? Per cui, tutti si rivolgono al calcio. Noi calciatori siamo i numeri uno nei loro pensieri, le nostre vite sono esaminate minuto per minuto. Tutti si sentono degli esperti: il parcheggiatore, il barista, il cameriere, tutti. A volte dovevo fermarmi e convincermi che non era vero, ma invece era proprio così. Pochi giorni prima ero a Liverpool, lavorando duramente, segnando dei goal e bevendo qualcosa con i compagni dopo la partita. Alla Juventus, dopo la partita, non c’era nulla: la doccia, lo spogliatoio, e poi via. Ma forse sarebbe difficile fare due chiacchiere con qualcuno che ti ha sputato in faccia per novanta minuti. E così bisogna tenersi tutto dentro: i pensieri buoni e cattivi, le tensioni. È a questo punto che ho capito quanto mi mancava il Liverpool».
Comincia il campionato e sembra che Ian Rush fatichi a inserirsi nel contesto generale della squadra, affidata per il secondo anno a Rino Marchesi, raffinato quanto sfortunato e triste allenatore, non ne azzecca proprio una. Esattamente come la Scarpa d’Oro. Rush, anziché sgroppare inafferrabile, anziché fiondare in goal i suoi tiri perfetti, le sue testate assassine, piomba in una crisi inspiegabile, gli riesce tutto difficile, si intorpidisce il suo spirito e si incupisce nella sfera privata, riflettendo in campo quella che è una sua personalissima involuzione. Rino Marchesi non può farci nulla. Se anche l’attaccante è forte, e lo ribadirà rientrando alla base, nel nostro campionato non incide più di tanto; la squadra finisce sesta, abbastanza ingloriosamente; Boniperti decide di dare il via a un’ennesima rivoluzione, optando per il russo Zavarov e il piccolo, rampante portoghese Rui Barros.
tratto da: Il Pallone Racconta: Ian Rush