É il 4 Gennaio 1987 e Juventus e Hellas Verona si sfidano nella quattordicesima giornata del Campionato di Calcio di Serie A 1986-87 allo Stadio ‘Comunale’ di Torino.
I bianconeri adesso sono guidati in panchina da Rino Marchesi che ha preso il posto dopo un decennio ricco di successi e trofei, di Giovanni Trapattoni (adesso passato all’Inter). Anche Michel Platini é sul piede d’addio e dopo questa stagione annuncierá il suo addio al calcio giocato. Nel frattempo anche l’Hellas Verona é protagonista di un bel campionato a tal punto da piazzarsi al quarto posto finale. I bianconeri dal canto loro si dovranno accontentare della piazza d’onore e lasciare lo scettro di Campione d’Italia al Napoli di Diego Armando Maradona, alla prima conquista tricolore.
Buona Visione!
Campionato di Serie A 1986-1987 – 14 andata
Torino – Stadio Comunale
Domenica 4 gennaio 1987 ore 14.30
JUVENTUS-VERONA 2-1
MARCATORI: Elkjaer 28, Manfredonia 66, Cabrini 88
JUVENTUS: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini (Vignola 46), Brio, Scirea, Mauro, Manfredonia, Serena A., Platini, Laudrup (Briaschi 75)
Allenatore: Rino Marchesi
VERONA: Giuliani, Volpati, De Agostini, Galia, Fontolan, Tricella, Verza (Ferroni 76), Bruni, Rossi P., Di Gennaro, Elkjaer
Allenatore: Osvaldo Bagnoli
ARBITRO: Longhi
La cannonata del difensore ha dato alla Juve il successo sul Verona in una domenica importante
E pensare che nel corso della partita i bianconeri proprio non avevano sperato di meritarsi un regalo così bello
– Ma non dimentichiamo anche Manfredonia, il «duro» elegante che si sta rilanciando in grande stile
– La bottiglia di un teppista amaro dono per ChiampanTORINO Avevamo, evidentemente, delle idee confuse circa gli usi e i costumi della Befana. La si credeva, ad esempio, magnanima consolatrice dell’infanzia desiderosa di doni. Non sapevamo, almeno sino a ieri, che nutrisse un debole anche per le vecchie signore. Ne si poteva supporre che, prendendosi una licenza dalla tradizione, decidesse di assumere, proprio lei così celebre per le non appetitose sembianze, il giovanile e gradevole aspetto del piú cinematografico dei giocatori bianconeri.
E, invece, eccola li, la notturna frequentatrice di tiepidi caminetti, in maglietta e pantaloni corti, nelle vesti di Antonio Cabrini che sferra il tiro di punizione contro la porta del Verona. E’ una vera cannonata epifanica quella che esplode dal piede dimilord. La calza-pallone vola imprendibile e si deposita nella rete del portiere Giuliani.
Che inatteso e splendido dono. Gioisce una squadra che, nel corso della partita, di meritarsi la visita della Befana non doveva aver pensato neppure per errore. Gioisce un tecnico che era preparato a trascorrere la festivita del 6 gennaio sommerso nel carbone.
E, sorpresa nella sorpresa, depositato il balocco che trasforma lo stadio da un concorso per fischiatori in un festival della letizia, l’epifanico Cabrini transita sotto le tribune che sino a pochi minuti prima avevano beffeggiato lui e i suoi compagni, esibendosi in una serie di reati che nessuna Befana, nemmeno se residente nel sobborghi di New York, si permetterebbe di disegnare in pubblico o in privato.
E’ lo sfogo di un campione che ha sofferto per ottantotto minuti il castigo della folla e che viene d’improvviso fulminato dalla convinzione che basti un gol vittorioso a cambiare la faccia sciupata della Juventus. Vogliamo sottilizzare sul comportamento del produttore d’un gol tanto importante? Noi no. Oxford, lo sappiamo tutti, è sempre più lontana dalle nostre pedatorie vicende.
E Manfredonia? Non dimentichiamoci, in questo contesto di vaghi ragionamenti, dell’uomo che senz’aiuto di Befane o di babbi Natale, del giocatore che, sta Pasqua o qualsiasi altra pietra miliare del calendario, offre alla Juventus il dono di una partecipazione che, considerata la robustezza e il carettere dell’elemento in questione, definiremmo cementizia. Lionello Manfredonia si batte e segna, è il rappresentante d’una categoria di duri eleganti, un tempo non esigua tra le file bianconere e oggi sintetizzata praticamente nella sua sola persona.
Manfredonia trascorre nella Juve le stagioni del proprio riscatto. Potrebbe essere un nazionale fisso, se non gli fosse nuociuta, ai giorni di Bearzot, la presunzione che gli si leggeva subito, al primo impatto, sulla punta del naso. Si sarebbe potuto divertire in squadre forse più edificanti della vecchia Lazio peccatrice, se non lo avesse coinvolto e affascinato la romanità di Giordano. Profonda amicizia tra due giovani profondamente diversi. Ricco borghese l’uno, proveniente dal quartiere più chic della capitale, i Parioli; tribolato figlio di Trastevere, con il piglio del comandante, l’altro. Uniti in campo, uniti nella disgrazia del calcio- scommese e in ulteriori disgrazie. E, alla fine, divisi con la fermissima intenzione di non riunirsi per il resto della vita.
Avevano sognato insieme, pur dicendosi e sentendosi legatissimi a Roma, il pomeriggio d’esordio alla Juve, il miglior centravanti e il miglior mediano italiani ancora insieme nella più forte squadra italiana. Soltanto Manfredonia si è trasferito dalla fantasticheria alla realtà.
Ma dove eravamo rimasti? Ah, sì: Cabrini ha segnato la rete del successo bianconero. Gli infervorati tifost del Verona, fedeli a una fama che li vuole tenaci provocatori di disordini, si sono firmati ingaggando scontri con i sostenttori juventini nei pressi dello stadio. E’ intervenuta con lancio di fumogeni la polizia. Non avendo potuto portare a compimento la rissa, gli ospiti hanno salutato Torino gettando da un loro pullman una bottiglia. Con un ferito s’è dunque conclusa la giornata. La Befana gialloblu aveva il viso d’un teppista.
Gianni Ranieri
tratto da: La Stampa 5 gennaio 1987