L’Ultima intervista di Gigi Buffon.

Gianluigi Bufon ha parlato a Rivista Undici.

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Recentemente Sportweek l’ha indicata come il calciatore italiano più forte di tutti i tempi. Qual è invece il calciatore che lei ha amato di più?
“Ce ne sono stati molti, ma forse quello che mi ha colpito maggiormente e che ha fortemente influenzato la mia carriera è stato il portiere del Camerun nel Mondiale di Italia ’90: Thomas N’Kono. Come ho più volte raccontato è forse grazie a lui se sono diventato portiere”.
Per una parte della critica questo è stato complessivamente il suo miglior anno. Lei come si auto-giudica?
“Io sono da sempre molto critico con me stesso. È innegabile che io abbia disputato un campionato buono, ricco di soddisfazioni e che passerà alla storia per una serie di record che siamo riusciti a tagliare sia insieme ai miei compagni: il record di imbattibilità, la striscia utile di risultati utili consecutivi, il quinto Scudetto. Insomma, direi che qualcosa di buono, tutti insieme, l’abbiamo fatto”.
L’ha fatta soffrire non essere inserito nella lista del Pallone d’Oro?
“No”.
Non crede che in oltre 20 anni di carriera, con 17 trofei vinti, da campione del mondo, avrebbe meritato il Pallone d’Oro?
“È difficile dire che cosa avrei meritato di vincere e che non ho vinto. Io mi sento appagato ed estremamente soddisfatto di tutto ciò che ho ottenuto in carriera ma ho ancora voglia di conquistare tutte le competizioni alle quali partecipo. Guardarsi troppo indietro non è mai stata una mia caratteristica. Andiamo avanti, passo dopo passo”.
C’è un errore che le torna in mente di tanto in tanto e che non si perdona?
“Gli errori fanno parte del mestiere e credo siano da mettere in conto per chiunque. Se penso a un ambito personale da migliorare mi viene in mente la reazione al pareggio con il Bayern che è stato vissuto con troppo pessimismo: in futuro cercherò di essere ancora più equilibrato e razionale nell’affrontare i nodi più delicati della stagione”.
E qual è la miglior parata che le torna in mente?
“Per fortuna ce ne sono tante che mi ricordo sempre con grande affetto e orgoglio. Ne scelgo sempre tre: Italia-Paraguay a Parma, avevo 19 anni. Parma-Inter su Recoba nel 2000 e quella su Zidane nella finale mondiale del 2006”.
Come è cambiato Buffon in campo?
“Invecchiando si migliora soprattutto negli allenamenti e nella concentrazione con cui li si esegue. Il tempo ti fa acquisire anche più consapevolezza della loro importanza e di quanto questi migliorino poi la qualità della prestazione”.
Ma la maturità dipende soltanto dall’età?
“Diciamo che l’età aiuta molto. A 38 anni mi rendo conto di vivere e osservare il mondo in maniera sensibilmente diversa da quanto non facessi da ragazzo. E questo credo sia più che normale. Credo appartenga alla naturale evoluzione delle persone. Ed è ancora più affascinante pensare di essere il capitano di uno spogliatoio decisamente più giovane”.
C’è qualcosa che ancora oggi migliorerebbe di se stesso in campo?
“Certamente. C’è sempre qualcosa da migliorare: la concentrazione, la forza d’animo, l’abnegazione in allenamento. In una parola, la professionalità. Non credo che un professionista possa dire di non poter più migliorare”.
Ha detto: smetto a 40 anni. Pensa già al dopo?
“Al ‘dopo’ mancano ancora due anni di attività che dovranno essere vissuti con il massimo della concentrazione perché ogni anno sarà sempre più difficile vincere, perché ogni anno le concorrenti migliorano. In Italia e in Europa. Sul futuro non ho ancora progetti concreti e credo ci sia il tempo per valutare quali potranno essere le strade migliori da percorrere”.
Ha detto anche che non vorrebbe fare l’allenatore, mentre il ruolo di selezionatore l’affascina. Perché?
“Diciamo che si è un po’ enfatizzata una mia battuta relativa all’eventuale possibilità di allenare una Nazionale. Con il sorriso sulle labbra ho risposto che sarebbe stato affascinante, dovendo immaginare un possibile futuro da allenatore, poter allenare una nazionale come la Cina o gli Stati Uniti”.
Si sente un simbolo?
“Preferisco separare la sfera privata e personale dalla dimensione sportiva e professionale. Mi spiego meglio: mi reputo una persona assolutamente normale con pregi e difetti come ogni altro individuo. Guardando invece alla carriera sportiva, penso di aver raggiunto risultati e traguardi straordinari, grazie alla professionalità e all’abnegazione che certamente possono rappresentare – e ne sarei orgoglioso – un modello da seguire”.
Che cosa significa essere il capitano della Juventus?
“Significa rappresentare e raccontare uno stile, un ambiente, un gruppo. Significa dimostrare con il proprio esempio quotidiano cosa significa essere consapevoli del valore di una maglia e dell’importanza che questa rappresenta per milioni di tifosi. Quando diventi capitano di una squadra vuol dire che è passato un po’ di tempo. Io non posso che essere felice di poter essere un uomo importante per questa squadra e per questa società. E sono ancora più felice del fatto che I tifosi della Juve siano orgogliosi che io li rappresenti”.
E che cosa significa essere capitano della Nazionale?
“Il principio è davvero molto simile. Oserei dire identico. La Juventus è uno tra i club più importanti al mondo e certamente il più amato in Italia. La Nazionale è una dimensione ancora diversa. Rappresentare la propria nazione e avere la fortuna di farlo nel mondo è un privilegio”.
Buffon ha ancora un obiettivo?
“Buffon ha tanti obiettivi. Personali e sportivi. Dal punto di vista sportivo punto a giocare il Mondiale 2018 in Russia e a continuare a fare bene in Italia e in Europa con la Juventus”.

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